13/05/2014
Sosta Papozze- Slow Food-Marcanta
Inaugurata l'undici maggio. Nasce da un progetto di Slow Food e Comune di Papozze, per valorizzare le strutture ricettive del territorio. E’ stato recuperato una porzione di paesaggio, un angolo di marezzana sulla strada Marcanta sino a poco tempo fa parcheggio di un paio di autotreni che per inghippi burocratici sono rimasti lì per una ventina d’anni tanto che l’area ormai era diventata discarica che ospitava rifiuti di tutti i tipi. Un recupero avvenuto sfidando il patto di stabilità nel senso che tutto, a parte la presenza degli operai comunali, si svolge nello spirito del volontariato. A costo zero per le finanze pubbliche, questo è da chiarire e da sottolineare con decisione.
Fatta la bonifica, il 21 marzo, primo giorno di Primavera sono state messe a dimora le piante grazie all’azione decisa del sindaco Diego Guolo, che ha operato anche materialmente, grazie ai mezzi forniti da Fortunato Guolo e ai volontari di Slow Food, capitanati da Gino Ferro, Giuliano Bovolenta, Tonino Bovolenta. Sono state poste due panchine recuperate nel magazzino comunale di Papozze, una bacheca, un cestino per i rifiuti e portato terra fresca per far crescere erba nuova. Senza spendere una lira per le finanze pubbliche. Adriano Cappato che è disponibile a tagliare l’erba. Si ringrazia Gianni Tirapelle, proprietario dell’area che l’ha ceduta in uso al comune di Papozze.
Si chiama Sosta Papozze- Slow Food- Marcanta ed è stata intitolata a Vittorio Pozzato detto Lustro.
Paolo Rigoni: “Vittorio Pozzato, Adria 17 settembre 1897, 26 agosto 1983, detto Lustro. Ultimi anni nella casa di riposo dove era stato ricoverato a spese del comune dall’allora sindaco, Nereo Pizzo. Lustro, ricordato anche da Salvini, era un personaggio singolare. Ha girato per anni per i nostri paesi con una vecchia bicicletta carica di ogni sorta di oggetti, vestito di stracci, vivendo di elemosina. Ha dimorato per alcuni anni, estate ed inverno in una vecchia tezza di canna alla Contuga. Si presentava a metà mattina alle porte della corte ed iniziava un suo particolare concerto modulando una nenia strana, agitando dei bussolotti a modo di campanacci e battendo vigorosamente un recipiente di latta. Era in sostanza lo strepito rituale, lo charivari, antichissima usanza per scacciare gli spiriti nefasti. Poi attendeva il suo pranzo che tutti gli offrivano. Prima di partire augurava salute e guadagno. Una figura particolare, antropologicamente ed etnograficamente assai significativa nelle comunità agricole, che vale la pena di studiare, approfondire e rivalutare in quanto non tanto e non solo straccione ed accattone”.